Gli ambiti di engagement

Ci sono ambiti decisivi in cui le scelte aziendali rivelano il cuore (e la verità) di un’impresa. Non basta dichiarare sostenibilità o responsabilità: serve agire con coerenza concreta.
Pensiamo alla crisi climatica: non basta dire “zero emissioni”, se poi restano investimenti nei progetti fossili. Ma c’è un tema ancora più di rottura per la finanza che si definisce etica: le armi. La finanza etica sostiene che il denaro non può alimentare guerre, violazioni dei diritti umani o sistemi di oppressione. Il messaggio è chiaro: parlare di sostenibilità ignorando che molti fondi finanziano guerra e controllo sociale è una contraddizione che molte realtà e persone che fanno attivismo hanno sempre denunciato.
Allo stesso modo, l’acqua è un bene comune che non può essere gestito solo a fini di profitto. La governance deve essere trasparente, competente e indipendente. Pagare le tasse nei Paesi in cui si crea valore è infine un dovere, non un optional di responsabilità d’impresa.
Sono questi i temi su cui, con il nostro azionariato critico, dialoghiamo con le imprese: clima, diritti, pace, risorse comuni, governance e giustizia fiscale.

Crisi climatica

Monitoriamo la coerenza delle strategie energetiche: da Eni a Enel a Generali, chiediamo che le promesse diventino scelte concrete e misurabili oggi, non domani.

La crisi climatica è il banco di prova per le grandi utility e compagnie energetiche: la credibilità dei loro piani si misura nella capacità di ridurre le emissioni in tempi compatibili con gli obiettivi globali. Progetti presentati come innovativi – dai biocarburanti in Africa alla cattura e stoccaggio della CO₂ – rischiano di rinviare le scelte strutturali e di prolungare la dipendenza dai combustibili fossili, come vediamo nel caso di Eni. Anche nelle strategie industriali, come la rilocalizzazione delle catene di fornitura, i nuovi investimenti in geotermia o le prospettive sul nucleare, servono maggiore trasparenza e chiarezza sugli impatti ambientali, come richiesto a Enel. Infine, anche il settore finanziario deve assumere un ruolo più netto: la riduzione dell’esposizione ai combustibili fossili non può limitarsi a dichiarazioni di principio, ma richiede tempi certi e misurabili, come stiamo sollecitando a Generali.

Pace e diritti umani

Denunciamo i rischi della produzione ed esportazione di armamenti, in particolare quelli legati ad armi nucleari e controverse. Con Leonardo, Rheinmetall, Fincantieri, ThyssenKrupp e Indra chiediamo trasparenza e responsabilità sulle destinazioni e sulle forniture militari.

La produzione e l’esportazione di armamenti pongono questioni centrali di responsabilità: i rischi di violazioni dei diritti umani, i rapporti con paesi coinvolti in conflitti e la partecipazione a programmi collegati ad armi controverse.

Con gruppi come Leonardo, Rheinmetall, Fincantieri e ThyssenKrupp chiediamo maggiore trasparenza sulle destinazioni delle forniture e politiche di due diligence più rigorose. L’attenzione riguarda anche la dipendenza economica da commesse militari, che rende il modello di business più fragile e poco diversificato.

In questo ambito rientra anche Indra, parte del complesso militare-industriale spagnolo: la crescita dei suoi profitti è legata soprattutto al comparto difesa e al mercato del controllo delle frontiere. Le collaborazioni con imprese israeliane coinvolte in Gaza e lo sviluppo di tecnologie di sorveglianza evidenziano i rischi sociali, reputazionali e ambientali di un modello basato sulla militarizzazione.

Un ulteriore esempio viene da Adidas, chiamata a farsi carico della responsabilità lungo la catena di fornitura: la campagna #PayYourWorkers chiede la creazione di un fondo di garanzia per tutelare i lavoratori in paesi privi di sistemi di protezione sociale.

gestione della risorsa idrica

La gestione dell’acqua richiede investimenti costanti e una governance trasparente. Con Acea solleviamo domande su perdite di rete, tariffe e ruolo degli azionisti di controllo.

L’acqua è un bene comune e la sua gestione da parte di società quotate richiede un equilibrio tra sostenibilità economica e interesse pubblico. Le nostre domande si concentrano su tre aspetti: riduzione delle perdite di rete, qualità della risorsa e governance.

Nel caso di Acea abbiamo chiesto chiarimenti sugli aumenti tariffari, per capire se siano destinati a rafforzare gli investimenti o se siano legati soprattutto alla distribuzione di dividendi. Negli ultimi anni abbiamo registrato una maggiore apertura al confronto: risposte più puntuali e disponibilità a incontri di approfondimento con il management prima delle assemblee.

governance

La solidità di un’impresa si vede anche dai suoi vertici: chiediamo consigli di amministrazione indipendenti, esperti, bilanciati e attenti all’impatto ESG. Il caso Bonifiche Ferraresi è emblematico.

La governance aziendale non riguarda solo regole formali: è il terreno su cui si misura la coerenza tra dichiarazioni e pratiche. Poniamo attenzione a temi come le politiche di remunerazione del management, il legame con indicatori ESG, le competenze e l’indipendenza dei consiglieri, l’equilibrio di genere e i rapporti con lavoratori e comunità locali.

Un caso emblematico è quello di Bonifiche Ferraresi, dove la presenza contemporanea di soci pubblici, banche e grandi gruppi privati solleva dubbi di trasparenza e potenziali conflitti d’interesse. Ma la questione riguarda molte altre imprese, dalle utility all’industria, dove chiediamo verifiche più oggettive e meno autoreferenziali sulle competenze e sull’indipendenza dei CdA.

fiscalità

Un’impresa responsabile paga le tasse dove genera valore. Continuiamo a verificare che aziende come Enel, Eni e Generali non sfruttino giurisdizioni opache per ridurre il loro contributo fiscale.

La trasparenza fiscale è parte integrante della responsabilità sociale d’impresa. Abbiamo chiesto a Enel, Eni e Generali di spiegare la funzione delle loro controllate in Paesi a fiscalità agevolata come Olanda, Lussemburgo o Bahamas.

Negli ultimi anni le società hanno fornito maggiori informazioni e annunciato piani di uscita graduale da queste giurisdizioni, ma restano aree non del tutto chiarite. Continuiamo a monitorare perché le tasse vengano pagate nei Paesi in cui si genera valore, contribuendo così al sostegno dei servizi pubblici e alla riduzione delle disuguaglianze.

I DIRITTI DEGLI AZIONISTI

Dal 2020, in conseguenza della pandemia da Covid, la legge italiana ha introdotto la possibilità di celebrare le assemblee “a porte chiuse”, delegando la raccolta dei voti a un rappresentante designato dalla stessa società. Questa modalità, confermata dal cosiddetto Decreto Capitali, è stata inserita a oggi stabilmente negli statuti di 109 società quotate (il 55% di Euronext Milano).

Per Fondazione Finanza Etica si tratta di una regressione della democrazia societaria: impedisce un vero confronto, riduce il ruolo degli azionisti critici a semplici “spettatori” e limita la possibilità di replica o di dialogo.

In modo particolare, la Commissione ha osservato che l’imposizione del solo rappresentante designato dall’azienda come unico canale di partecipazione viola gli articoli 10 e 6 della Direttiva 2007/36/CE sui diritti degli azionisti. L’articolo 10 stabilisce che ciascun azionista deve avere la libertà di nominare un proprio rappresentante, al quale spettano gli stessi diritti di parola, intervento e voto. Con il modello italiano, invece, questa possibilità viene annullata, perché la società impone un unico rappresentante scelto da lei stessa, riducendo così lo spazio di espressione e confronto. L’articolo 6, a sua volta, riconosce agli azionisti il diritto di proporre punti da discutere all’ordine del giorno e di presentare proposte di delibera. Ma se l’assemblea si svolge “a porte chiuse”, senza un dibattito reale, questo diritto rimane solo formale e non può essere esercitato in maniera effettiva. In sintesi, per Bruxelles la normativa italiana svuota di contenuto diritti fondamentali che dovrebbero garantire la partecipazione democratica degli azionisti.

Il confronto con altri Paesi europei mostra che la rigidità italiana è un’anomalia. Nel 2025 gruppi come Adidas e Inditex, con cui svolgiamo attività di azionariato critico, hanno tenuto le proprie assemblee in modalità mista – presenza fisica e collegamento online – dimostrando che è possibile garantire la partecipazione anche a distanza senza alcuna difficoltà tecnica. Allo stesso modo, Rheinmetall e ThyssenKrupp hanno scelto di organizzare assemblee interamente online, anch’esse senza problemi organizzativi. Tra le società italiane su cui svolgiamo attività di azionariato critico, solo Generali e Fincantieri hanno consentito la partecipazione diretta degli azionisti. Nel caso di Generali, peraltro, si è trattato di una novità del 2025: non è escluso che la decisione sia stata influenzata dal rinnovo del Consiglio di amministrazione, che richiedeva anche il voto degli investitori retail. 

Dal 7 maggio 2025 il Governo italiano aveva due mesi di tempo per rispondere alle contestazioni della Commissione europea. Il termine è quindi scaduto a luglio e, se la replica inviata da Roma non verrà ritenuta adeguata, Bruxelles potrà passare alla fase successiva: l’adozione di un parere motivato, con cui chiede formalmente all’Italia di modificare la normativa. Se il Governo continuerà a non adeguarsi, la Commissione potrà deferire l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha il potere di imporre sanzioni finanziarie al Paese.