Imprese

ACEA

ACEA, nata nel 1909 come AEM a servizio di Roma, ha ampliato il suo ruolo nel 1937 gestendo gli acquedotti comunali e costruendo l’acquedotto del Peschiera. Quotata al Mercato Telematico Azionario, ha acquisito la rete Enel a Roma. Nel 2023, ACEA ha registrato un EBITDA consolidato di circa 1,4 miliardi di euro, in crescita del 7% rispetto all’anno precedente, con il 87% generato da attività regolamentate. Gli investimenti totali ammontano a 1,143 miliardi di euro, di cui l’88% destinato ad attività regolamentate.

ACEA si è espansa in Campania e Toscana, gestendo servizi idrici integrati e entrando nel trattamento dei rifiuti, diventando il primo operatore italiano con 9 milioni di utenti. In America Latina, ACEA serve circa 10 milioni di abitanti attraverso quattro società.

L’engagement su ACEA è iniziato in collaborazione con il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua sulla scia del referendum per l’acqua pubblica. ACEA SpA è un gruppo imprenditoriale pubblico-privato operativo nell’ambito delle utility (acqua, energia, rifiuti).

Il confronto con ACEA è stato nel 2024 molto articolato. In occasione dell’AGM (svoltasi “a porte chiuse”) abbiamo rivolto 28 domande al management dell’azienda, articolate in 6 diversi argomenti: le modalità “a porte chiuse” di svolgimento dell’assemblea e del confronto con gli azionisti; la politica di proprietà della società da modellarsi sulle linee guida stabilite dall’OCSE sul governo societario delle imprese pubbliche; la responsabilità sociale dell’azienda in particolare sul caso dell’Amministratore Delegato Fabrizio Palermo accusato di aver tenuto “atteggiamenti sessisti e umilianti” verso alcune dipendenti della società”; la governance dell’azienda e sui possibili conflitti d’interesse derivanti dalla posizione di alcuni consiglieri di amministrazione all’interno dei vari Comitati di Acea; le politiche di remunerazione; le politiche sul sistema idrico. A fronte di risposte in misura consistente non soddisfacenti o dichiarate non pertinenti all’odg dell’Assemblea, la Fondazione ha avanzato ulteriori domande successive all’AGM e richiesto ed ottenuto un ulteriore incontro (svoltosi presso la sede romana di ACEA il 2 luglio), a seguito del quale abbiamo ottenuto risposte scritte ad ulteriori domande. Il confronto è apparso in tal modo complessivamente molto ampio, registrando una buona disponibilità a fornire chiarimenti, punti di vista e informazioni più dettagliate su tutti gli argomenti toccati. Su alcuni di questi non abbiamo registrato una convergenza o comunque una soddisfazione alle nostre richiesta (restando aperte le domande sulla governance e sul conflitto d’interesse), ma su molti altri (i diversi interventi infrastrutturali come l’ammodernamento del sistema idrico del Peschiera) le risposte sono state chiare, in buona parte soddisfacenti e certamente denotano un’attitudine della società a stabilire un confronto e un dialogo aperti e non reticenti con la Fondazione

Da sei anni, ingaggiamo Acea SpA con l’obiettivo di chiedere impegni misurabili e verificabili. Il focus è sul miglioramento dell’efficienza della gestione idrica, con particolare attenzione alla riduzione delle perdite. Parallelamente, puntiamo ad aumentare l’installazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili.
Il nostro impegno si estende anche alla promozione della trasparenza e misurabilità della politica di remunerazione del management. Inoltre, ci proponiamo di rafforzare la solidità finanziaria dell’intero Gruppo.

La Fondazione ha interrogato il management dell’impresa sulle motivazioni dietro la decisione di tenere l’Assemblea degli azionisti “a porte chiuse”, tramite il rappresentante designato. Tuttavia, l’azienda ha evitato di rispondere ripetendo i contenuti della domanda e dichiarando di aver sfruttato una possibilità offerta dalla normativa.
Le domande sulla situazione finanziaria del Gruppo, compresi contributi pubblici, politica dei dividendi e risorse destinate come contributo solidaristico straordinario, non hanno ricevuto risposte esaustive e puntuali.
Più interessanti sono state le risposte relative alle perdite idriche occulte, dove i dati forniti dimostrano un impegno effettivo dell’azienda (Acea Ato 2: 87,8 mln.€ nel 2022. Acea Ato5: 15,74 mln.€) per ridurle in termini significativi (Acea Ato 2: -17,2% rispetto al 2019. Acea Ato5: 24%) e comunque ad una programmazione di questi interventi.
Allo stesso modo, sono risultate positive le risposte sulla misurazione del customer satisfaction index.

Adidas

Fondata nel 1949 da Adolf “Adi” Dassler in Germania, Adidas è diventata un leader globale nel settore dell’abbigliamento sportivo e delle attrezzature. Con sede a Herzogenaurach, l’azienda è quotata in borsa e opera in tutto il mondo. Nel 2024, Adidas ha registrato un fatturato di circa 25 miliardi di euro, con una crescita sostenuta grazie a forti vendite nei settori delle calzature e dell’abbigliamento.

Fondazione Finanza Etica ha acquistato un’azione di Adidas nel 2024 e ha partecipato per la prima volta all’assemblea degli azionisti dell’impresa, che si è tenuta a Fürth, in Germania, il 16 maggio del 2024.
L’attività di azionariato critico con Adidas è svolta in collaborazione con la Clean Clothes Campaign (in Italia Campagna Abiti Puliti) e con la federazione degli azionisti critici tedeschi DKAA, con lo scopo di migliorare le condizioni di lavoro dei subfornitori del gruppo, in particolare nel Sud-Est-Asiatico.

2024

Nel corso dell’assemblea 2024 abbiamo chiesto ad Adidas di aderire all’iniziativa #payyourworkers (paga i tuoi lavoratori), promossa dalla Clean Clothes Campaign (CCC). CCC chiede che sia creato un fondo di garanzia per pagare le indennità di licenziamento ai lavoratori impiegati dai subfornitori (nei Paesi in cui non esistono ammortizzatori sociali). Il fondo sarebbe finanziato tramite un contributo dello 0,5% del valore ‘Free on Board’ (FOB) delle merci. Il valore FOB indica il costo totale delle merci al momento del loro caricamento per il trasporto, escludendo eventuali spese successive come assicurazione e trasporto.
Per Adidas, questo significherebbe un contributo di 26,78 milioni di dollari al fondo di garanzia. Una cifra che rappresenta appena lo 0,125% dei suoi ricavi per il 2023, pari a 21,427 miliardi di euro.
L’impresa si è dimostrata disponibile al dialogo ma ha spiegato che non può aderire all’iniziativa di CCC, perché la responsabilità sulle indennità di licenziamento è dei subfornitori e dei Paesi in cui questi hanno sede. L’impresa, almeno informalmente, in uno scambio con gli azionisti critici a margine dell’assemblea si è dimostrata però aperta ad altre soluzioni.

BONIFICHE FERRARESI

BF SpA è una holding italiana attiva nel settore agricolo e agroalimentare. Fondata nel 2004, BF SpA si concentra principalmente sulla produzione e commercializzazione di prodotti agricoli, con un forte focus sulla sostenibilità e l’innovazione nel settore agroalimentare. La società è impegnata nella valorizzazione delle risorse agricole italiane attraverso l’adozione di tecniche avanzate di agricoltura e di gestione delle terre. La società è attiva principalmente in Italia. Nel 2023, BF SpA ha registrato ricavi della gestione caratteristica pari a 450 milioni di euro. L’attuale presidente di BF SpA è Giordano Emo Capodilista, che ha sostenuto la visione strategica della società verso un’agricoltura sostenibile e tecnologicamente avanzata.

Siamo stati interessati a questa azienda grazie a una inchiesta di Altraeconomia che ha rilevato un complesso intreccio di conflitto d’interessi attorno e dentro B.F. Spa. La più grande impresa agricola privata del nostro Paese che ha inglobato, nel corso degli ultimi anni, funzioni, imprese e competenze, tanto pubbliche quanto private. Compreso, di recente, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea), ente pubblico economico di diretta emanazione del governo, con compiti di fornire alle imprese agricole e loro associate servizi informativi, assicurativi e finanziari, nonché agevolare il rapporto con il sistema bancario e assicurativo.
Anche Ismea è entrata a far parte dell’azionariato di B.F. Spa (6,04%). In buona compagnia: Eni (con il 5,31%), ad esempio, è un socio molto più importante della quota azionaria detenuta, giacché B.F. Spa deve molta parte dei suoi ricavi dalla vendita di carburanti fossili per i mezzi agricoli. Quindi B.F. Spa vende il prodotto di Eni, che è socio dell’impresa. Intesa Sanpaolo (3,31%), a proposito di servizi bancari e assicurativi, accanto a Ismea, ente pubblico economico che deve agevolare il rapporto delle imprese agricole con il sistema bancario. Inoltre in B.F. Spa troviamo Arum Spa di F.Vecchioni, coeditore de “La Verità” (20,13%), Dompé Holdings (20,04%) colosso del settore sanitario, e ancora Inarcassa e altre Casse di ordini professionali.
Vorremmo vederci un po’ più chiaro e anche capire che cosa fa B.F. Spa per promuovere la biodiversità in agricoltura.

2024

Abbiamo concentrato il nostro primo engagement, in collaborazione con SfC-Shareholders for Change. con la società sul tema della biodiversità e su come B.F. la integra nella sua strategia. Questo perché la perdita dell’integrità della biosfera è un problema ambientale forse addirittura peggiore dell’immissione di CO2 in atmosfera. Per integrare questo tema nelle proprie strategie occorre considerare e fronteggiare alcuni rischi (operativi/fisici, normativi, di transizione e reputazionali). Nella Dichiarazione Non Finanziaria 2023 B.F. Spa accenna in modo assai generico alle politiche che intende mettere in atto per limitare l’impatto della propria attività in campo agricolo sulla biodiversità. Abbiamo chiesto spiegazioni e la società ha risposto rimandando alle diverse pagine della Dichiarazione Non Finanziaria, senza fornire risposte dettagliate, dimostrando che non hanno informazioni concrete da condividere. Per esempio, alla domanda sugli standard e parametri internazionali utilizzati per valutare gli impatti, BF SpA ha risposto che al momento non ne utilizzano alcuno. Quando abbiamo chiesto quali indicatori specifici usano per misurare dipendenze e impatti, la risposta è stata che attualmente non vengono utilizzati indicatori specifici. Abbiamo anche chiesto quale percentuale delle attività di BF dipenda dai servizi ecosistemici, ma la società ha risposto che questa percentuale non viene attualmente calcolata. Inoltre, riguardo alle politiche verso i fornitori relativamente al loro impatto sulla biodiversità, BF SpA ha dichiarato che non sono previste tali politiche e che non è prevista la comunicazione di queste informazioni al mercato. Infine, sul tema del sostegno a iniziative locali per preservare la biodiversità, la risposta è stata che nel corso del 2023 non ci sono state attività in tal senso.
Queste risposte indicano che BF SpA attualmente non utilizza standard internazionali, non misura specificamente le dipendenze e gli impatti ecologici delle sue attività, né adotta politiche verso i fornitori riguardo alla biodiversità o sostiene iniziative locali per la preservazione della biodiversità.
Abbiamo posto una serie di domande anche riguardo a collaborazioni e accordi specifici, come quelli con Eni per la produzione di biocarburanti e il rilascio della concessione per la coltivazione in Algeria. La risposta della società è stata che queste informazioni non sono divulgabili al pubblico. Tuttavia, sembra difficile che l’azienda non comprenda che gli azionisti, in quanto proprietari e investitori nell’azienda, hanno un interesse legittimo a conoscere come la “loro” azienda si comporta.
Inoltre, abbiamo sollevato la questione della partecipazione di Ismea, ente pubblico economico di diretta emanazione del governo, nel capitale di BF SpA. Contestiamo questa partecipazione è discutibile, poiché Ismea dovrebbe garantire strumenti e conoscenze per un corretto svolgimento del mercato, non essere un attore di mercato. La sua partecipazione, infatti, potrebbe costituire un fattore di distorsione o creare un potenziale conflitto d’interesse. La risposta dell’azienda, “le azioni BF sono quotate sul MTA e quindi acquistabili da chiunque“, è stata deludente e poco rassicurante.
Consideriamo anche che BF SpA non sembra abituata a rispondere agli azionisti indipendenti nei contesti in cui è obbligata a farlo. Sarà quindi compito della Fondazione interloquire con l’azienda per stimolarla a un confronto più trasparente e corretto con i propri azionisti. Tuttavia, al momento, la situazione appare caratterizzata da una notevole reticenza da parte della società.

Enel

Enel è una multinazionale italiana dell’energia, tra le più grandi al mondo. Fondata nel 1962, opera in vari settori energetici, con un forte focus sulla produzione e distribuzione di elettricità e gas.

È leader nel settore delle energie rinnovabili, con un impegno dichiarato verso “zero emissioni” entro il 2040. Guidata da Francesco Starace dal 2014 al 2023, Enel ha abbracciato una politica di decarbonizzazione ambiziosa e investe in tecnologie sostenibili. La società è attiva in molti paesi, con operazioni significative in Europa, America Latina e Nord America. L’attuale presidente di Enel è Paolo Scaroni.

Nel 2023, Enel ha registrato ricavi della gestione caratteristica pari a 95,565 miliardi di euro, in diminuzione del 32% rispetto all’anno precedente, quando i ricavi erano stati pari a 140,5 miliardi di euro. La riduzione è stata principalmente attribuita alla normalizzazione dei prezzi di vendita dell’energia dopo le circostanze eccezionali del 2022.

Dal maggio del 2023, da quando cioè il Consiglio di Amministrazione di Enel è stato profondamente modificato per volontà del governo Meloni, l’atteggiamento di FFE nei confronti di Enel è diventato più cauto. Al posto di Francesco Starace il governo ha infatti nominato Flavio Cattaneo, che sulla carta ha meno esperienza sui temi della transizione energetica. Mentre alla presidenza è stato nominato Paolo Scaroni, già amministratore delegato di Eni: un campione del gas e del petrolio.

Fondazione Finanza Etica ha acquistato azioni di Enel nel 2007 e, dal 2008, partecipa alle assemblee della società per promuovere una transizione verso l’energia rinnovabile.

Inizialmente, ha collaborato con associazioni come ReCommon e Greenpeace Italia; ora lavora con la rete di investitori “SfC – Shareholders for Change,” in particolare con membri che possiedono azioni di Enel.

Dal 2022 collabora anche con l’alleanza di investitori per i diritti umani IAHR Investor Alliance for Human Rights, in particolare sul tema dell’approvvigionamento di pannelli solari dalla Cina, che in alcuni casi sarebbero prodotti nella regione dello Xinjiang, da operai della minoranza uigura sottoposti a lavoro forzato.

Nel corso degli ultimi 15 anni, la Fondazione ha criticato apertamente Enel, soprattutto sotto la guida dell’ex amministratore delegato Fulvio Conti. Le critiche hanno riguardato gli investimenti in carbone e nucleare e i progetti di dighe in Patagonia cilena. Tali critiche hanno ottenuto un certo impatto e hanno ricevuto sostegno da altre organizzazioni, campagne e persino da due vescovi, uno in Cile e uno in Guatemala.

Dal 2014, con il cambio di leadership e l’arrivo di Francesco Starace, Enel ha adottato una politica di decarbonizzazione ambiziosa, mirando a “zero emissioni” entro il 2040, diversamente dalla maggior parte delle altre società energetiche che puntano al “net zero” entro il 2050. Questo approccio più ambizioso è stato ben accolto dalla Fondazione. Sotto la guida di Starace, Enel è diventata una leader globale nel settore delle energie rinnovabili.

Parallelamente, la Fondazione ha modificato il suo approccio a Enel, passando da uno scontro iniziale a un dialogo costruttivo e alla cooperazione. Ha apprezzato i cambiamenti nelle politiche aziendali riguardanti il carbone in Colombia, la centrale del Mercure e l’approvvigionamento di moduli solari. Le richieste e le osservazioni della Fondazione hanno ottenuto risposte tempestive, impegni precisi e azioni concrete da parte di Enel.

Fondazione Finanza Etica ha inoltrato circa 30 domande a Enel, in particolare su due temi:

  1. il ‘reshoring’ della produzione di pannelli solari dalla Cina all’Europa, per eliminare o comunque minimizzari i rischi di violazioni dei diritti umani.
  2. l’eventuale impegno della società nel nucleare.

Relativamente al ‘reshoring’, FFE ha chiesto informazioni sullo stato di avanzamento di ogni singolo progetto di reshoring di Enel (volumi di produzione previsti, tempistiche della produzione, ecc.). Inoltre, ha chiesto esplicitamente entro quando il ‘reshoring’ riuscirà a sostituire completamente l’importazione di pannelli dalla Cina.

Enel ha dato informazioni solo sul principale progetto di ‘reshoring’ attualmente in corso: la gigafactory 3Sun di Catania, che impiega già 420 persone e potrà produrre più di 5 milioni di moduli all’anno per un totale di 3 GW di capacità elettrica. Enel non ha però dato informazioni su altri progetti analoghi né ha fornito dettagli su quando la produzione cinese sarà completamente sostituita da quella italiana, o europea. Al momento non è possibile sapere in quale percentuale i pannelli siano ancora prodotti in Cina.

Visto che le risposte alle domande sul ‘reshoring’ sono state poco soddisfacenti, Fondazione Finanza Etica ha richiesto un incontro a Enel, a cui parteciperanno anche l’investitore svedese Öhman (parte della rete IAHR, si veda sopra) e i membri di Shareholders for Change che investono attualmente in Enel.

Per quanto riguarda l’energia nucleare, Enel ha risposto di essere a favore della neutralità tecnologica. Le nuove tecnologie nucleari sono considerate una possibile componente del mix energetico per raggiungere i target di decarbonizzazione fissati al 2050 a costi competitivi. Questo nonostante, come segnalato da FFE nelle sue domande, le nuove tecnologie nucleari siano fortemente dipendenti dalla Russia, unico fornitore economicamente sostenibile di uranio ad alto dosaggio e a basso arricchimento (HALEU), che sarà necessario per alimentare la nuova generazione di reattori avanzati.

Al momento Enel produce il 12% dell’energia grazie alle centrali nucleari che controlla in Spagna, attraverso la controllata Endesa. Gli investimenti nelle nuove tecnologie nucleari SMR/AMR, che vedranno le prime applicazioni commerciali a partire dai primi anni 2030, sono ancora molto limitati.

Nel corso dell’assemblea della società, che si è tenuta a Roma nel maggio del 2023, abbiamo espresso preoccupazione per il cambiamento inatteso della governance, voluto dal governo Meloni. L’uscita di scena forzata di Francesco Starace e la nomina di un campione del petrolio e del gas come Paolo Scaroni è per noi un grande motivo di preoccupazione sugli obiettivi futuri della società. Come azionisti critici abbiamo chiesto ad Enel di continuare ad essere un esempio avanzato di transizione energetica. Allo stesso tempo monitoreremo con severità gli obiettivi di decarbonizzazione che Enel si è posta e torneremo allo scontro se necessario.

Enel è stata l’unica grande società italiana ad aver organizzato l’assemblea degli azionisti in presenza nel 2023. Le domande di Fondazione sono state quindi formulate sia in forma scritta, prima dell’assemblea, sia direttamente a voce, nell’ambito della discussione assembleare. Per tutte le altre imprese italiane, a causa della proroga del Decreto “Cura Italia”, è stato possibile inviare solo domande scritte a cui le imprese hanno risposto in forma scritta prima delle assemblee, che si sono svolte tutte a porte chiuse.

Endesa

Endesa è la più grande società di energia elettrica in Spagna, con una attività prevalentemente concentrata sul mercato interno. È controllata al 92% da Enel dal 2009. Le attività di produzione, distribuzione di energia elettrica e gas sono concentrate in Spagna, Portogallo, Marocco. Utilizza centrali elettriche, termiche, nucleari, idroelettriche e a ciclo combinato. Nel 2023, Endesa ha registrato ricavi della gestione caratteristica pari a 29,16 miliardi di euro. Questa cifra rappresenta una diminuzione rispetto ai ricavi del 2022, che erano stati di 34,13 miliardi di euro.

La partecipazione all’Assemblea degli Azionisti di Endesa mira a dare voce alle migliaia di persone che, nonostante siano in regola con il pagamento delle bollette della luce, subiscono tagli nell’approvvigionamento elettrico, con un grave impatto sulla loro vita quotidiana.

Alianza contra la Pobreza Energética e Fundación Finanzas Éticas hanno precedentemente sollevato domande a Endesa riguardo allo stato precario della rete di distribuzione e alla mancanza di investimenti e manutenzione in quartieri delle città dell’Andalusia e della Catalogna.

Nell’Assemblea Generale degli Azionisti 2023 la Fundación ha ceduto la sua possibilità di intervento a Alianza contra la Pobreza Energética (APE) e Asociación Pro-Derechos Humanos de Andalucía (APDHA). Queste due realtà hanno chiesto al Consiglio di Amministrazione dell’azienda quali misure concrete intendono adottare per evitare i continui tagli di corrente elettrica che affliggono diverse zone dell’Andalusia, in particolare diversi quartieri della città di Granada, compromettendo gravemente la vita quotidiana dei residenti. Grazie a questo intervento e alla collaborazione con Shareholders for Change e la loro interlocuzione con ENEL, da settembre 2023 abbiamo tenuto diverse riunioni con l’azienda, a cui hanno partecipato rappresentanti della Fundación, APDHA e APE, insieme a rappresentanti di varie aree di ENDESA (Direzione Generale di Distribuzione, Direzione di Responsabilità Sociale Corporativa, Responsabile Area Tecnica di Granada e Responsabile della Regolamentazione). In totale, si sono svolti tre incontri tra settembre e aprile 2024, nelle quali l’azienda ha condiviso i dati richiesti e i miglioramenti apportati nelle zone colpite e si è mantenuto un dialogo per cercare soluzioni, anche con la partecipazione volontaria di due ingegneri, docenti di una università spagnola. Dato che questo processo di dialogo è ancora in corso, non abbiamo partecipato all’Assemblea degli Azionisti della compagnia nel 2024.

Il 28 aprile 2023, in occasione dell’Assemblea Generale degli Azionisti di Endesa, le organizzazioni Alianza contra la Pobreza Energética, Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía (APDHA) e Fundación Finanzas Éticas hanno interrogato il Consiglio di Amministrazione dell’azienda riguardo alle misure concrete per evitare i continui tagli di energia elettrica che da anni colpiscono diverse zone dell’Andalusia.

Durante l’intervento, si è cercato di evidenziare la situazione di località come Granada, Siviglia, Almería, Iznalloz o Pinos Puente, molte delle quali hanno quartieri particolarmente vulnerabili e soffrono di interruzioni continue nell’approvvigionamento elettrico che possono arrivare fino a 12 ore al giorno. Allo stesso tempo, si è cercato di mettere in luce, attraverso esempi concreti, come i tagli di corrente incidano sulla salute delle persone e sulla loro vita quotidiana.

ENI

Eni S.p.A. è una società petrolifera multinazionale con sede in Italia. È una delle maggiori aziende italiane per fatturato (ricavi dalla gestione caratteristica pari a 93,72 miliardi di euro, segnando una contrazione del 29% rispetto ai 132,51 miliardi di euro del 2022). Creata dallo Stato italiano come ente pubblico nel 1953 sotto la presidenza di Enrico Mattei, fu convertita in società per azioni nel 1992. È quotata in borsa dal 1995. Nel 2023, Eni ha continuato ad operare in 69 paesi con oltre 32.000 dipendenti. L’azienda è attiva nei settori del petrolio, del gas naturale, della chimica, della produzione e commercializzazione di energia elettrica e di energia da fonti fossili. Il principale azionista di Eni rimane lo Stato italiano, che detiene una quota del 30,33% attraverso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Cassa Depositi e Prestiti​.

L’azionariato critico di Fondazione Finanza Etica verso Eni è partito già nel 2008, in collaborazione con ReCommon, a cui si sono poi aggiunti Greenpeace Italia, Fondazione A Sud e Un Ponte Per.

Eni è una delle maggiori compagnie petrolifere europee. Le principali critiche di Fondazione riguardano quindi lo stesso modello di business della società, orientato allo sfruttamento delle fonti fossili (gas e petrolio), con elevate emissioni di gas serra.

Anche Eni ha deciso di svolgere l’assemblea degli azionisti del 2024 a porte chiuse, privando gli azionisti di una possibilità unica di interazione diretta con l’amministratore delegato e il consiglio di amministrazione della società. A Fondazione Finanza Etica e alle altre associazioni coinvolte da anni in iniziative di azionariato critico non è rimasta altra possibilità che l’invio di domande scritte, raccolte anche dalle associazioni A Sud e Un Ponte Per. I temi delle oltre 80 domande scritte sono stati in particolare tre:

  1. l’esplorazione di gas in Palestina;
  2. l’utilizzo di derivati dell’olio di palma nelle bioraffinerie;
  3. il raggiungimento del ‘plateau’ di produzione di idrocarburi, che sarà seguito da una diminuzione progressiva della produzione.

Le risposte sull’esplorazione di gas in Palestina, che potrebbe essere a rischio di violazione del diritto internazionale (in quanto si saccheggerebbero risorse naturali sovrane del popolo palestinese), sono state abbastanza chiare. Eni ha partecipato al bando di Israele per le licenze di esplorazione nel luglio del 2023, quindi «prima dell’escalation geopolitica iniziata il 7 ottobre». «L’annuncio dell’aggiudicazione è avvenuto il 29 ottobre 2023 e ad oggi nessuna licenza è stata ancora emessa e, pertanto, nessuna attività è stata avviata nell’area». In più non sono stati ancora scoperti idrocarburi. Quindi è tutto fermo.

Sui derivati dell’olio di palma, in particolare il PFAD (acidi grassi di palma distillati), nel 2020 la società si era impegnata a smetterlo di usarlo nelle sue bioraffinerie entro il 2023. Prima dell’assemblea del 2024 Eni risponde invece che continuerà ad usarlo perché nel frattempo è cambiata la normativa e il mercato si è evoluto. Il PFAD è diventato uno «scarto di produzione valorizzabile a fini energetici». Questo nonostante studi scientifici dimostrino come i PFAD siano peggiori per il clima rispetto al diesel fossile e non molto meglio dell’olio di palma grezzo (che Eni ha smesso di usare nell’ottobre del 2022), come sostiene l’organizzazione T&E (Transport & Environment).

Per quanto riguarda il raggiungimento del ‘plateau’ di produzione, nel 2020 Eni aveva dichiarato che nel 2025 avrebbe raggiunto il massimo di produzione di petrolio e gas e poi la produzione sarebbe gradualmente scesa. Nel frattempo il termine per il raggiungimento del ‘plateau’ si è spostato al 2030. Quindi fino al 2030 Eni aumenterà la sua produzione di petrolio e gas. Nel giugno del 2024, in un incontro online con un gruppo di investitori etici, a cui hanno partecipato anche Fondazione Finanza Etica e altri membri di SfC – Shareholders for Change, Eni ha spiegato che, anche se il raggiungimento del plateau è stato spostato in avanti, dal punto di vista del raggiungimento degli obiettivi climatici non cambierebbe nulla. Le quantità di petrolio e gas prodotte complessivamente al raggiungimento del plateau sarebbero le stesse che sarebbero state prodotte al 2025, in base al piano precedente. In sostanza, Eni ha diluito la crescita della produzione su un orizzonte temporale più ampio. Ma la crescita sarebbe la stessa.

Per la Fondazione e gli altri investitori critici qualsiasi crescita della produzione di petrolio e gas è attualmente un problema, a causa dell’accelerazione del riscaldamento climatico, confermata dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change). Se poi la crescita della produzione viene diluita su più anni futuri, c’è il rischio che le quantità incrementali di emissioni prodotte si liberino in un contesto di riscaldamento climatico ulteriormente accelerato, generando ancora più danni al clima.

Nell’assemblea del 10 maggio 2023 Fondazione Finanza Etica ha posto più di cento domande ad Eni riguardo al suo piano di decarbonizzazione al 2050, agli investimenti nei biocarburanti e ai rischi ambientali e per i diritti umani dei suoi giacimenti in Italia e nel mondo. Le risposte, pervenute prima dell’assemblea, sono state in gran parte insoddisfacenti.

Fondazione Finanza Etica, rappresentando l’associazione A Sud, ha anche posto domande specifiche sulla presenza di Eni nei territori italiani, in particolare a Gela, in Sicilia, dove Eni ha chiuso il polo petrolchimico nel 2014 per sostituirlo con una bioraffineria. Tuttavia, uno studio condotto nel 2018 nel golfo di Gela ha rilevato perturbazioni negli ecosistemi marini dovute alle attività industriali, nonostante la bonifica svolta. Eni ha sostenuto la piena compatibilità ambientale delle sue nuove attività, basandosi sulle autorizzazioni ottenute nel tempo.

Il piano di decarbonizzazione di Eni è stato criticato per l’ampio ricorso alle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2, ancora in fase di sviluppo e oggetto di critiche internazionali. Nonostante ciò, Eni ha mantenuto la sua posizione.

Inoltre, la Fondazione ha sollevato domande sulla presenza di Eni in Iraq per conto dell’associazione Un Ponte Per, basandosi su una ricerca critica condotta sul campo. Questa ricerca mette in dubbio la promessa di Eni di creare sviluppo e stabilità in Iraq, anche se riserva l’80% dei posti di lavoro creati dall’estrazione di petrolio alla manodopera locale. Si è anche evidenziato che l’attività estrattiva di Eni può ridurre le quantità d’acqua disponibili e mettere a rischio la salute delle popolazioni locali. Eni ha risposto affermando che usa acqua non adatta agli usi civili e attribuendo i danni alla salute ad altre fonti di inquinamento, senza fornire dati precisi.

Fincantieri

Fincantieri S.p.A. è un’azienda italiana operante nel settore della cantieristica navale ed è il più importante gruppo navale d’Europa. Già di proprietà dell’IRI fin dalla sua fondazione, è oggi controllata 71,3% da CdP Industria, finanziaria di Cassa depositi e prestiti. La società è quotata alla Borsa di Milano nell’indice FTSE Italia Mid Cap.
Nel 2023, l’azienda ha registrato un fatturato totale di 7,65 miliardi di euro, in aumento rispetto ai 7,44 miliardi di euro del 2022. Al 31 dicembre 2023, Fincantieri impiegava 21.215 dipendenti, un aumento rispetto ai 20.792 dipendenti del 2022​.

L’azionariato critico di Fondazione Finanza Etica è svolto in collaborazione con Rete italiana Pace e Disarmo. Il comparto militare di Fincantieri SpA è in sensibile crescita e la società opera su diversi mercati internazionali.

Fondazione Finanza Etica ha partecipato per il secondo anno consecutivo all’assemblea di Fincantieri come azionista critico, sostenuta dalla Rete italiana Pace e Disarmo. Durante l’assemblea, ha posto domande sui piani di espansione del settore militare di Fincantieri, che prevede di aumentare i ricavi del 25-35% entro il 2025, e sulle condizioni di lavoro nei cantieri italiani. La Fondazione ha espresso preoccupazione per le strategie dell’azienda e per le indagini in corso riguardanti lo sfruttamento dei lavoratori. Finora, il dialogo con Fincantieri è stato insoddisfacente.

La Fondazione ha richiesto spiegazioni sulla modalità di svolgimento dell’Assemblea, sottolineando la limitazione alla partecipazione solo tramite rappresentante designato. Tale restrizione è stata considerata in contrasto con quanto dichiarato nella relazione sul governo societario, dove si afferma che Fincantieri adotta “forme di dialogo aperte e trasparenti con la generalità dei propri azionisti”. Il focus dell’engagement della Fondazione è stato sulla governance, con attenzione alle deleghe esecutive al presidente e alle competenze del consigliere del CdA di recente nomina. Inoltre, sono stati affrontati temi legati al modello di business, con una percezione di orientamento sempre più marcato verso il settore militare, e alla politica di remunerazione. La Fondazione ha inoltre sollevato questioni su infortuni sul lavoro, la vendita delle fregate FREMM all’Egitto, il fatturato militare e l’export. Sono state richieste informazioni dettagliate sui paesi clienti, le tipologie di prodotti e il fatturato. Infine, sono state esaminate le politiche fiscali di alcuni clienti rilevanti, come la Marina militare USA e il Wisconsin.

Complessivamente, le risposte di Fincantieri si caratterizzano per la loro vacuità e superficialità. Per 6 domande, la società utilizza la formula “la Società non fornisce questo tipo di dettaglio”, senza motivare il diniego. In molti casi, le risposte rimandano a documenti pubblici già analizzati, generici e che hanno stimolato ulteriori domande di chiarimento.
La società evita di fornire dati specifici richiesti, ad esempio, per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro, le risposte si basano su intendimenti generici. Emerge una chiara spinta verso il settore militare, supportata da dati numerici macroscopici, seguendo una tendenza simile a quanto già avvenuto negli anni passati con Leonardo SpA.
L’esportazione di prodotti militari si orienta sia verso paesi dell’Alleanza Atlantica (come gli USA) sia extra-NATO, presentando problematiche legate ai diritti umani e civili, come nel caso dell’Egitto.

Generali

Generali è la maggiore impresa italiana di assicurazioni e fra le maggiori d’Europa. Il Gruppo opera anche nel settore finanziario con società possedute o controllate in ogni parte del mondo. Abbiamo iniziato l’ingaggio nel 2018, in occasione del dichiarato intervento di decarbonizzazione nella strategia di investimenti dell’impresa, chiedendo maggiore incisività e coerenza nella stessa. L’ingaggio si è poi esteso ad altri temi relativi alla governance (politiche di retribuzione del management, presenza di aziende del Gruppo in paesi a fiscalità agevolata, ecc.). Fondazione Finanza Etica ha collaborato con Re:Common e Greenpeace in questo intervento di azionariato critico.

Generali ha impegnato un disinvestimento di 2,2 miliardi di euro dalle imprese operanti nel settore delle fonti fossili, mantenendo però azioni in imprese nei paesi, come Polonia e Repubblica Ceca, in cui la produzione energetica dipende fortemente dal carbone. La richiesta comprende un impegno concreto per superare questa esclusione e il ritiro dai contratti di copertura assicurativa di centrali e miniere di carbone. La Fondazione ha inoltre sollecitato maggiore trasparenza e un legame più chiaro con fattori ESG nel calcolo della quota variabile della retribuzione del management dell’azienda, oltre a richiedere informazioni trasparenti sulle società del Gruppo presenti in paesi a fiscalità agevolata.

I temi del nostro engagement con Generali (12 domande in tutto) spaziano dalla modalità di svolgimento dell’AGM e il dialogo con gli azionisti al tema dei prodotti ESG nel campo assicurativo, dalla policy sull’esclusione degli investimenti in imprese nel settore delle armi nucleari e controverse (Leonardo SpA) alla policy sulla decarbonizzazione del Gruppo, all’engagement di Generali con imprese operanti nelle fossili.

Le risposte sono complessivamente accurate e in buona parte soddisfacenti dal punto di vista dell’azionista critico. Restano alcuni margini di miglioramento e spazi per continuare l’engagement, in particolare sulla politica di esclusione dalle armi nucleari, che analizziamo sotto. In particolare appare accurata la risposta sul dialogo con gli azionisti, pur nella scelta – per noi opinabile – dello svolgimento dell’assemblea “a porte chiuse”. In particolare abbiamo apprezzato l’intento della società di creare un Club degli Azionisti, al quale gli azionisti potranno aderire “per esercitare in modo più efficiente le loro prerogative”. La società sostiene che la modalità di partecipazione alle assemblee attraverso il solo Rappresentante designato ha fatto registrare un aumento di partecipazione alle stesse da parte degli azionisti: ma sarebbe interessante verificare questa affermazione attraverso dati numerici, che comunque non ci dicono molto circa la qualità di questa partecipazione.

Per quanto riguarda le polizze auto che premiano la responsabilità ambientale, le risposte sono un po’ meno accurate, ma è tuttavia importante rilevare che i premi dedicati al comparto auto rappresentano il 52,1% delle “soluzioni assicurative con componenti ESG – ambito ambientale” che complessivamente quotano 2,6 miliardi di euro. La società prevede una crescita media delle soluzioni assicurative con componenti ESG per quanto riguarda le polizze auto nell’ordine del 5-7 % tra il 2021 e il 2024.

Invece sulla questione della policy sulle armi nucleari, Generali conferma di tenere come riferimento per l’esclusione dai propri investimenti in imprese del settore il solo Trattato di non proliferazione e non anche, come da noi richiesto, il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) del 2017. Questo porta la società a giustificare l’investimento in Leonardo SpA che, pur partecipando a programmi di sistema di armamento nucleare , non risulta aver violato il Trattato di non proliferazione; le cui violazioni peraltro riguardano gli Stati più che le imprese. Questo è per Fondazione Finanza Etica un limite sul quale continueremo ad ingaggiare Generali.

Infine, assai positive sono le risposte sia sulla metodologia interna adottata per selezionare investimenti obbligazionari “verdi e sostenibili”, la sostanziale uscita di Generali dal settore carbonifero (tutte le posizioni rimaste, pure irrisorie, sono in run-off) e, soprattutto, l’engagement con 27 società con elevate emissioni di gas serra nel portafoglio investimenti, con una rendicontazione ai soci molto dettagliata e trasparente (inclusa nel Group Active Ownership Report all’interno della Relazione annuale Integrata 2023).

I risultati sono stati, fin dai primi anni, positivi. Generali ha accettato di ingaggiare direttamente le 8 imprese investite in Polonia e Repubblica Ceca per chiedere un effettivo impegno di riconversione verso le fonti rinnovabili; con l’impegno a disinvestire qualora l’ingaggio non avesse dato risultati o prospettive credibili. Ad oggi Generali ha disinvestito da 4 di quelle imprese, mentre sulle altre 4 sta continuando l’ingaggio per monitorare l’effettivo impegno di riconversione. Generali ha inoltre adottato trasparenti e misurabili indicatori ESG per il calcolo della parte variabile della retribuzione di tutto il management del Gruppo; i criteri e i risultati sono disponibili sul loro sito internet. Nell’ambito della politica fiscale, Generali ha redatto un Tax Transparency Report che pubblica annualmente sul sito e ha fornito dettagli sulle diverse società del Gruppo presenti in paesi problematici: Lussemburgo, Paesi Bassi, Svizzera, ecc. In un caso ha inserito in run-off una società da noi segnalata con sede nelle Isole Vergini Britanniche. In generale il dialogo con l’azienda è costante, improntato a trasparenza e reciproca fiducia e collaborazione.

H&M

H&M è un colosso multinazionale della moda a basso costo con sede in Svezia. Ha chiuso il 2023 con ricavi per ca. 21 miliardi di euro (il 6% in più rispetto al 2021). Oltre al brand H&M, controlla marchi come Weekday, & Other Stories, Cos e Monki.

Fondata da Erling Persson nel 1947, è ancora saldamente in mano alla famiglia Persson, che controlla il 77,3 % dei voti e il 53,4% delle azioni.

Dal 2019, Fondazione Finanza Etica, in collaborazione con la Clean Clothes Campaign europea, e due membri di SfC – Shareholders for Change, Meeschaert Asset Management (Francia) ed Ethius Invest (Svizzera), ha adottato un approccio critico nei confronti di H&M. Le critiche principali riguardano il mancato pagamento del salario di sussistenza ai subfornitori del Sud-Est Asiatico, la trasparenza limitata sui criteri sociali e ambientali per la remunerazione manager, il rispetto degli obiettivi climatici, la biodiversità e l’uso di cotone geneticamente manipolato.

2024

Nell’assemblea del 4 maggio 2023, Fondazione Finanza Etica ha presentato una mozione chiedendo a H&M di divulgare la stima dell’esposizione al cotone geneticamente manipolato, valutare e rendere noti i rischi ambientali e sociali, fissare obiettivi precisi per ridurre l’esposizione al cotone geneticamente manipolato e aumentare l’approvvigionamento di cotone biologico.
La mozione è stata respinta durante il voto degli azionisti, con la famiglia Persson, detentrice dell’80% dei voti, esprimendosi contrariamente. H&M non ha divulgato informazioni sulla percentuale di voti favorevoli né sull’identità dei votanti, rivelando una mancanza di trasparenza.
Tuttavia, l’azionariato critico della Fondazione ha portato a risultati apprezzabili in passato, come la pubblicazione di criteri sociali e ambientali per la remunerazione manager e una maggiore trasparenza nella catena di approvvigionamento, soprattutto per quanto riguarda il cotone.

INDITEX

Inditex, con sede ad Arteixo, in Spagna, è una delle più grandi società di moda al mondo, famosa per marchi come Zara, Pull & Bear, Massimo Dutti, Bershka, Stradivarius, Oysho e Zara Home. Fondata nel 1985 si è quotata in borsa nel 2001, diventando un colosso nel settore della moda e del retail. Nel 2023, Inditex ha registrato un fatturato di 35,9 miliardi di euro, con un aumento del 10,4% rispetto all’anno precedente, grazie allo sviluppo sia nei negozi fisici che nelle vendite online (+16%, pari a 9,1 miliardi di euro) e gestendo 5.692 negozi in tutto il mondo. Inditex continua a investire pesantemente nella sua espansione, con un programma straordinario di investimenti di 900 milioni di euro all’anno per il 2024 e il 2025, destinati soprattutto alle capacità logistiche.

Nel 2024, Fondazione Finanza Etica ha acquistato un’azione di Inditex, uno dei più grandi gruppi globali dell’abbigliamento, con l’obiettivo di portare l’attenzione sugli impatti ambientali della sua logistica. In particolare, abbiamo voluto approfondire l’uso massiccio del trasporto aereo per le collezioni di fast fashion, che contribuisce significativamente all’aumento delle emissioni di CO2. Questo engagement è stato sviluppato in collaborazione con la rete Shareholders for Change e con l’ONG svizzera PublicEye, che aveva già evidenziato queste criticità in un rapporto dettagliato.

2024

Il primo passo è stato l’invio di una lettera a Inditex nel marzo 2024, nella quale abbiamo chiesto un dettaglio delle emissioni generate dal trasporto aereo e la definizione di strategie e obiettivi misurabili per la loro riduzione. Di fronte alla risposta insoddisfacente da parte dell’impresa e alla mancanza di progressi concreti, abbiamo deciso di portare le nostre domande direttamente all’assemblea degli azionisti che si è tenuta a luglio 2024. Durante l’assemblea, abbiamo chiesto spiegazioni sull’aumento del 37% delle emissioni legate ai trasporti registrato nel 2023, che ha raggiunto un massimo storico di quasi 2000 kiloton di CO2. Inoltre, abbiamo sollecitato Inditex a pubblicare un piano dettagliato per la riduzione delle emissioni, seguendo l’esempio di altri giganti del fast fashion come H&M.

Le risposte ottenute sono state deludenti, ma l’impresa si è dichiarata aperta al dialogo. Continueremo a lavorare con PublicEye e con la Campagna Abiti Puliti in Italia per garantire che Inditex adotti misure concrete per ridurre l’impatto ambientale della sua logistica. Se altri attori del settore stanno già facendo passi avanti, non vediamo perché Inditex non debba seguire lo stesso percorso.

INDRA

Indra Sistemas S.A. è una azienda spagnola di consulenza e tecnologia, fondata nel 1993 e con sede principale ad Alcobendas, Madrid. L’azienda opera principalmente nei settori dei trasporti, della difesa e della tecnologia dell’informazione. Nel 2023 ha registrato un fatturato di 4,343 miliardi di euro (+14% rispetto al 2022). Indra è suddivisa in due principali divisioni operative: Trasporti e Difesa e Tecnologia dell’Informazione, nota anche come Minsait. La divisione Trasporti e Difesa si occupa di sicurezza delle frontiere, sorveglianza, navigazione, difesa aerea, comunicazioni satellitari e sistemi di gestione del traffico aereo. La divisione Minsait è specializzata in consulenza IT, cybersecurity, tecnologie avanzate, servizi ERP e outsourcing IT. Indra impiega oltre 57.000 persone e ha una presenza operativa in più di 140 paesi.

Nel 2022, durante l’assemblea degli azionisti di Indra, la campagna #DesarmandoIndra, sostenuta da vari collettivi tra cui Alternativa Antimilitarista MOC e Fondazione Finanzas Éticas, ha denunciato l’aumento dei profitti dell’azienda grazie al coinvolgimento in attività legate ai conflitti armati e alla militarizzazione delle frontiere.

2024

La campagna ha sollevato questioni riguardanti l’impatto ambientale delle attività militari di Indra, il legame con il potere politico e il coinvolgimento in progetti che violano i diritti umani. Nonostante la risposta di Indra, che ha minimizzato le accuse, i collettivi continueranno a sensibilizzare gli azionisti e il pubblico sulla questione​.

Leonardo

Leonardo S.p.A. è un’azienda italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza. La società (nota con il nome di Finmeccanica fino al 2016) è quotata in borsa dal 1993. Il suo maggiore azionista è il Ministero dell’economia e delle finanze italiano, che possiede una quota pari al 30,2%.

Ha chiuso il 2022 con un fatturato pari a 14,7 miliardi di euro; il portafoglio ordini è di 17,3 MLD di euro. Impiega oltre 50.000 persone, di cui 32.000 negli stabilimenti e uffici italiani.

A partire dai primi anni duemila Finmeccanica si è progressivamente liberata di una serie di comparti civili ritenuti non strategici: l’automazione industriale, la robotica, la microelettronica, l’energia e, più tardi, il trasporto ferroviario. Come evidenziano i bilanci della società, ancora nel 2013 il fatturato prodotto dalle attività in campo civile era pari al 50,4% del totale. Oggi (dato ai primi 6 mesi del 2023) i ricavi dal settore civile sono pari ad appena il 17% (nel 2022 era il 27%), con l’83% del fatturato proviene dal settore militare/governativo.

Fin dall’inizio le nostre richieste si sono rivolte allo spostamento della quota di fatturato di Leonardo SpA dal settore civile a quello militare, chiedendo maggiore trasparenza su destinazioni e materiali d’armamento esportati. Abbiamo cercato informazioni per colmare le carenze della Relazione del Governo al Parlamento relativa alla L.185/90. La Fondazione ha chiesto chiarimenti sulla partecipazione di Leonardo a programmi di armi nucleari e sulla collaborazione con università italiane e attività di fondazioni interne al Gruppo.

Abbiamo iniziato l’attività di azionariato critico su Leonardo nel 2018. In collaborazione con Rete italiana Pace e Disarmo, di cui Fondazione è socia.
A partire dai primi anni duemila Finmeccanica si è progressivamente liberata di una serie di comparti civili ritenuti non strategici: l’automazione industriale, la robotica, la microelettronica, l’energia e, più tardi, il trasporto ferroviario. Come evidenziano i bilanci della società, ancora nel 2013 il fatturato prodotto dalle attività in campo civile era pari al 50,4% del totale. Oggi (dato ai primi 6 mesi del 2023) i ricavi dal settore civile sono pari ad appena il 7%1 (nel 2022 era il 27%), con l’83% del fatturato proviene dal settore militare/governativo.

Le risposte sul coinvolgimento di Leonardo nella produzione di armi nucleari sono sconfortanti: Leonardo partecipa a un programma francese per la produzione di un missile con testata nucleare. Tuttavia, poiché si tratta di un progetto classificato come “Special France”, Leonardo afferma di non poter accedere ad alcuna informazione in merito a causa delle rigide normative francesi sulla sicurezza strategica. Leonardo partecipa dunque al 25% in un consorzio (MBDA) con Airbus (Francia) e BAE Systems (Regno Unito) per la produzione di un vettore che trasporterà testate nucleari, ma non può accedere ad informazioni né tantomeno divulgarle. Questo quadro rimane di estrema opacità e forse i cittadini italiani hanno motivo di inquietudine se una azienda strategica in larga parte di proprietà pubblica è tenuta all’oscuro su come le sue risorse vengono impiegate in un programma militare.

Leonardo non ha aumentato per nulla la trasparenza. Continua a non fornire informazioni sulla suddivisione del fatturato e sugli occupati per singolo stabilimento. I dati sull’export militare sono esposti in maniera poco chiara. Anche se parziali, i dati forniti dimostrano che l’export militare di Leonardo ha una rilevanza ridotta: nel 2023, vale intorno a 1,2 miliardi di euro su 15,3 miliardi di euro di ricavi totali della compagnia.

Questo è ben distante dai livelli dichiarati da Aiad (Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza), dimostrando quanto l’industria delle armi sia poco strategica per l’interesse nazionale in termini di ritorni economici e occupazione. Il settore militare è fra quelli a minore intensità di lavoro. L’evoluzione di Leonardo SpA, che controlla oltre il 70% della produzione e il 75% delle esportazioni italiane, mostra che la componente produttiva militare è passata negli ultimi 15 anni dal 56% all’83%. Durante questa trasformazione da impresa mista civile-militare a impresa prevalentemente militare, Leonardo ha ridotto i suoi occupati in Italia del 24%. Nonostante le molte acquisizioni di commesse nel settore militare, come la partecipazione alla produzione dei nuovi caccia F-35, che in Parlamento era stata presentata come una fonte di 10.000 nuovi posti di lavoro, e le svariate acquisizioni d’impresa, il numero complessivo degli occupati di Leonardo SpA si è ridotto.

In termini di dividendi, lo Stato italiano, come azionista di Leonardo, incasserà per l’anno 2023 appena 49 milioni di euro. Al contrario, nel corso del 2023, gli altri azionisti hanno ottenuto vantaggi significativi, poiché, a differenza del Ministero del Tesoro, comprano e vendono azioni di Leonardo liberamente sui mercati azionari. Chi ha acquistato azioni di Leonardo nel gennaio del 2023 e le ha rivendute a fine dicembre ha guadagnato circa il 70%. Il corso del titolo in borsa è stato favorito dalla guerra in Ucraina e dal conflitto in Israele, con la corsa al riarmo di Europa e NATO. L’impegno dello Stato in un’impresa che produce armi impiegate in conflitti internazionali, con il rischio di violazione dei diritti umani fondamentali, appare sproporzionato rispetto agli effettivi, minimi vantaggi economici per il Paese.

Infine, dopo aver presentato una denuncia al Collegio Sindacale, abbiamo espresso nuovamente dubbi sulla nomina dell’ex ministro Roberto Cingolani come amministratore delegato di Leonardo. Sosteniamo che non è stato rispettato il periodo di sospensione di un anno dalla cessazione della carica governativa di Cingolani, ai sensi della legge 60 del 1953. Leonardo ha risposto che la legge non può essere considerata applicabile alla società, senza però spiegarne i motivi.

Il nostro impegno continuerà dopo l’assemblea.

Fin dall’inizio le nostre richieste si sono rivolte allo spostamento della quota di fatturato il fatturato di Leonardo SpA dal settore civile a quello militare, chiedendo maggiore trasparenza su destinazioni e materiali d’armamento esportati. Anche cercando di avere informazioni che consentissero di riempire i vuoti e le carenze che l’impostazione della Relazione del Governo al Parlamento relativa alla L.185/90 presentava.
La Fondazione ha inoltre chiesto chiarimenti sulla partecipazione di Leonardo a programmi di armi nucleari e sulla collaborazione con università italiane e attività di fondazioni interne al Gruppo.
I risultati dell’engagement con Leonardo sono stati del tutto insoddisfacenti, sia sul piano delle risposte alle nostre richieste e agli obiettivi. Nel 2022 la percentuale del fatturato militare di Leonardo è stata dell’83%, a fronte del 73% nel 2020, del 72% nel 2019 e del 68% nel 2018. In relazione alla partecipazione di Leonardo nei programmi di produzione di armi nucleari, le risposte della società sono state evasive, confuse, contraddittorie. L’orientamento è rivolto a sostenere che la società non sia implicata in tali produzioni in quanto parte di un consorzio che realizza solo il vettore, cioè il missile, e non la testata nucleare. Ma, ormai, sembra acclarato che, sia per la produzione di missili che per la produzione di parti di cacciabombardieri adatti al trasporto di bombe con testata nucleare, la società è decisamente implicata nella produzione di questi materiali d’armamento controversi. In generale la società evita di rispondere alle nostre domande accampando motivi di sicurezza nazionale, di strategie commerciali o comunque di indisponibilità alla disclosure su questi temi.

REPSOL

Repsol è una compagnia energetica internazionale con sede in Spagna, attiva nei settori del petrolio, del gas e delle energie rinnovabili. La società è quotata in borsa e ha una presenza significativa a livello internazionale. Nel 2023 ha registrato un fatturato di 58,9 miliardi di euro e ha un portafoglio ordini significativo che riflette la sua vasta gamma di operazioni nel settore energetico. Repsol è impegnata in un processo di transizione energetica, con l’obiettivo di diventare una compagnia a emissioni zero entro il 2050. Tuttavia, come dimostrano le recenti assemblee degli azionisti e gli interventi pubblici, ci sono richieste crescenti per accelerare questo processo e adottare misure più concrete entro il 2030.

Alla stessa Assemblea degli Azionisti hanno partecipato anche Greenpeace e Oxfam con domande su temi ambientali.

2024

Il 10 maggio abbiamo partecipato nuovamente all’Assemblea degli Azionisti di REPSOL. Jordi Ibáñez, direttore di Fundación Finanzas Éticas, è intervenuto nella sessione di domande, ponendo diverse questioni agli azionisti e ai dirigenti dell’azienda. Nel suo intervento ha sottolineato tre richieste principali: piano di decarbonizzazione credibile, non per il 2050 ma per il 2030; maggiore trasparenza sui temi di sostenibilità, con riferimento alle diverse accuse di pubblicità ingannevole a cui l’azienda deve far fronte; invito a prendere sul serio la responsabilità sociale d’impresa, applicando le misure di due diligence per garantire i diritti umani, lavorativi e ambientali in tutte le operazioni, per evitare di ripetere disastri ecologici e sociali come lo sversamento di quasi 12.000 barili di petrolio nel mare del Perù nel gennaio 2022.

La risposta del CEO di REPSOL, Josu Jon Imaz, ha riguardato il peso della normativa ambientale europea, che a suo dire condiziona il miglioramento e l’avanzamento dell’industrializzazione europea. Inoltre, ha pubblicamente indicato Fundación Finanzas Eticas e Greenpeace come responsabili dell’ “incremento delle emissioni di CO2 nel mondo legate al carbone”, di “rafforzare Putin” e di essere “complici della lobby elettrica”.

Rheinmetall

Rheinmetall AG è un gruppo tedesco quotato in borsa che produce armamenti e componenti per automobili. Ha sede a Düsseldorf. Il fatturato totale nel 2023 è stato pari a 7,2 miliardi di euro (in forte crescita rispetto ai 6,4 del 2022). Impiega circa 25.000 persone, di cui circa la metà in Germania. È una società ad azionariato diffuso senza un vero e proprio azionista di controllo. Uno dei principali azionisti è il fondo sovrano del governo norvegese, che al 2023 detiene il 2,4% del capitale dell’impresa.

Nel 2017 Fondazione Finanza Etica ha acquistato un’azione di Rheinmetall per partecipare alle assemblee degli azionisti dell’impresa. L’ha fatto su proposta della Rete Italiana Pace e Disarmo e del Comitato per la Riconversione di RWM Italia (la controllata italiana dell’impresa). A partire dal 2018 l’attività di azionariato critico su Rheinmetall è stata effettuata anche in collaborazione con il socio tedesco di Shareholders for Change Bank für Kirche und Caritas, e con la rete di azionisti critici tedeschi Dachverband der Kritischen Aktionärinnen und Aktionäre.

L’azionariato critico su Rheinmetall ha lo scopo di denunciare la produzione di bombe nello stabilimento italiano di Domunsnovas. Le bombe, esportate in Arabia Saudita, vengono utilizzate per bombardare lo Yemen, in una guerra civile, senza legittimazione internazionale, che conta ormai migliaia di vittime tra la popolazione civile.

Lo scontro con l’impresa in assemblea è sempre stato molto duro. Da parte di Rheinmetall non c’è mai stata disponibilità al dialogo. L’impresa continua a ripetere che la produzione ed esportazione di armamenti viene fatta nel pieno rispetto delle leggi nazionali dei Paesi in cui opera. Rheinmetall ribadisce di essere fiduciosa sulla risoluzione positiva di tutti procedimenti legali a suo carico in Italia, sui quali gli azionisti critici hanno più volte richiamato l’attenzione.

Nel 2024 abbiamo partecipato all’assemblea degli azionisti online, visto che dal 2020 la società non svolge più assemblee in presenza. Abbiamo chiesto maggiori informazioni sulla decisione del Consiglio di Stato, che ha riconosciuto l’irregolarità dei principali ampliamenti dello stabilimento di Domusnovas-Iglesias. Abbiamo inoltre chiesto maggiori informazioni sulla ripresa delle esportazioni verso l’Arabia Saudita, dopo la fine dell’embargo e sul nuovo accordo commerciale con l’AOI (Organizzazione Araba per l’Industrializzazione), che riguarda in particolare l’Egitto.

L’impresa non si è pronunciata sulla decisione del Consiglio di Stato perché il procedimento sarebbe ancora in corso. Ha però ribadito che l’impianto di Domusnovas non può essere riconvertito alla produzione civile, perché è strutturalmente pensato per produrre esplosivi. A Domusnovas non si intendono investire grandi cifre per l’espansione dello stabilimento ma si potrebbero comunque creare 80-100 nuovi posti di lavoro in futuro. Sulle esportazioni verso l’Arabia Saudita e sul contenuto dell’accordo con l’AOI non è stata data alcuna informazione, per motivi di riservatezza contrattuale. L’accordo con l’AOI riguarda comunque solamente l’Egitto e non anche altri Paesi arabi.

L’engagement con Rheinmetall si concentra su due aspetti principali. In primo luogo, l’esportazione di armi verso Paesi in guerra e/o che sistematicamente violano i diritti umani. In secondo luogo, c’è la richiesta di riconversione a scopi civili dello stabilimento di Domusnovas in Sardegna.
Fondazione Finanza Etica e altri azionisti critici collaborano evidenziando che, oltre all’aspetto etico, esportare armi verso Paesi con violazioni dei diritti umani comporta rischi finanziari, esponendo la società a possibili sanzioni.

Solvay

Solvay Group è un’azienda belga che opera nel settore chimico e delle plastiche. È stata fondata nel 1863 da Ernest Solvay i cui eredi, tramite Solvec SA, la controllano (con il 30,81%). Negli ultimi anni l’assetto del gruppo è cambiato radicalmente: dalla cessione del pilastro farmaceutico all’acquisizione dell’azienda chimica Rhodia e alla creazione della nuova Solvay. In Italia è proprietaria di vari stabilimenti, tra cui quello di Rosignano Solvay (soda caustica, bicarbonato e carbonato di sodio). Solvay ha sede a Bruxelles e conta 22.000 dipendenti in 61 paesi. Il fatturato netto nel 2022 è di 13,4 miliardi di euro. È quotata su Euronext Bruxelles, Parigi e negli Stati Uniti. Solvac SA detiene il 30,81% del capitale di Solvay.

Nel 2021 Fondazione Finanza Etica ha acquistato un’azione di Solvay per portare all’attenzione dell’impresa il problema dell’inquinamento generato dallo stabilimento di Rosignano, in provincia di Livorno. Negli ultimi tre anni abbiamo inoltre inviato domande sulla catena di approvvigionamento di metalli e terre rare e sul piano di decarbonizzazione della società. L’engagement è stato sviluppato in collaborazione con la rete Shareholders for Change, con l’activist investor Bluebell Capital Partners e con la rete di azionisti critici britannica ShareAction.

Abbiamo inviato domande a Solvay prima delle assemblee del 2021, 2022 e 2024. Ad esempio, abbiamo richiesto informazioni sul monitoraggio della catena di approvvigionamento di metalli rari per minimizzare rischi sociali e ambientali. Riguardo all’impianto di Rosignano (Livorno), abbiamo chiesto quanto la società preveda di investire per la completa decontaminazione delle coste.

Nel 2024 siamo tornati sull’impianto di Rosignano, chiedendo informazioni su un procedimento, avviato nel 2019 dalla Procura di Livorno e ancora in corso, in cui è coinvolta la società. Riguardano una presunta contaminazione di alcune falde acquifere all’esterno del sito di produzione e nella zona dell’ex discarica.

Abbiamo inoltre chiesto maggiori informazioni sugli accantonamenti al fondo rischi e oneri per procedimenti che riguardano presunte violazioni ambientali. Infine, abbiamo fatto una domanda sul modo in cui saranno i 30 milioni annui che saranno investiti ogni anno nell’ambito della strategia di decarbonizzazione.

La società ha sempre negato contaminazioni al di fuori dello stabilimento di Rosignano. Inizialmente vaghe sul tema dei metalli rari, le risposte sono diventate più dettagliate nel tempo, in risposta a domande specifiche. Riguardo al procedimento ancora in corso presso la Procura di Livorno, la società ha risposto che il caso è ancora nella fase di indagine preliminare e non è noto quando saranno concluse le indagini. Solvay continua a investire per la bonifica del terreno e delle acque sotterranee.

Per quanto riguarda gli accantonamenti, la società ha dichiarato che non divulga i dati sugli accantonamenti per sito industriale, ma solo a livello aggregato, per ogni Paese in cui opera. Mentre è stata più trasparente sull’uso dei 30 milioni destinati al piano di decarbonizzazione: nel 2024 saranno utilizzati per la costruzione di una seconda caldaia a legna di scarto in Germania; per completare l’uscita dal carbone negli Stati Uniti e per ridurre i gas serra emessi da una miniera, sempre negli USA.

Abbiamo inviato domande a Solvay prima delle assemblee del 2021, 2022 e 2023, in collaborazione con Meeschaert Asset Management, socio francese di Shareholders for Change. Ad esempio, abbiamo richiesto informazioni sulla sorveglianza della catena di approvvigionamento di metalli rari per minimizzare rischi sociali e ambientali. Riguardo all’impianto di Rosignano (Livorno), abbiamo chiesto quanto la società preveda di investire per la completa decontaminazione delle coste.
Sul tema della decarbonizzazione, abbiamo domandato se Solvay abbia l’intenzione di passare al 100% a fonti energetiche rinnovabili entro il 2050 e se si impegna a eliminare gradualmente la biomassa come fonte energetica, sia per la produzione diretta che indiretta di energia, al più tardi entro il 2050.

ThyssenKrup

Nel 2023, ThyssenKrupp ha registrato un fatturato totale di 37,5 miliardi di euro, in calo rispetto ai 41,1 miliardi di euro del 2022. La sua unità aziendale ThyssenKrupp Marine Systems ha generato 2 miliardi di euro di ricavi, rappresentando circa il 5,3% del fatturato totale dell’azienda. Questa unità è specializzata nella costruzione di sottomarini e navi da guerra, confermando la sua posizione di leader nel settore della tecnologia marina​. Alcuni di questi sistemi militari sarebbero stati venduti a Paesi come l’Egitto e la Turchia, presumibilmente coinvolti in abusi dei diritti umani e conflitti armati contrari al diritto internazionale.

Nel 2024 FFE ha partecipato all’assemblea di ThyssenKrupp per il tramite della federazione tedesca degli azionisti critici DKAA.

Alla fine del 2020 Fondazione Finanza Etica ha acquistato una azione di ThyssenKrupp per fare engagement con l’impresa e partecipare alle assemblee degli azionisti. L’ha fatto su proposta del socio fondatore di Shareholders for Change, Bank für Kirche und Caritas (BKC), una banca cattolica tedesca. La prima lettera a ThyssenKrupp è stata spedita nell’ottobre del 2020, per fare domande sulle esportazioni militari dell’impresa. L’engagement con ThyssenKrupp ha l’obiettivo finale di spingere l’impresa a liberarsi del suo ramo militare, che non è strategico ed è associato a gravi rischi di violazione dei diritti umani. A BKC e Fondazione Finanza Etica si è poi aggiunto un terzo membro di SfC: la società di investimenti francese Sanso IS.

Fondazione Finanza Etica, insieme ai membri di Shareholders for Change, ha costantemente chiesto a ThyssenKrupp di condurre una due diligence sui diritti umani, conforme ai principi guida delle Nazioni Unite, prima di esportare armi in futuro. La richiesta include anche maggiori informazioni sul possibile coinvolgimento nella produzione di sistemi d’arma nucleari.

Nel 2024 FFE ha chiesto informazioni aggiornate sull’export militare e sul possibile coinvolgimento nella produzione di sistemi d’arma nucleari, in particolare per quanto riguarda i sottomarini.

Il dialogo con ThyssenKrupp, in collaborazione con Shareholders for Change, è stato ampio ma non soddisfacente rispetto alle aspettative di Fondazione Finanza Etica. Nonostante la partecipazione a incontri e l’invio di rappresentanti alle assemblee degli azionisti, l’azienda ha minimizzato le preoccupazioni sui diritti umani legate alle pratiche di esportazione di armamenti, senza impegnarsi a interrompere tali esportazioni in zone di conflitto.

Durante l’assemblea del 2024 l’impresa ha aggiornato l’incidenza della produzione di armi sul totale del fatturato, attualmente al 3,7% e ha fornito il dettaglio dell’export per Paese, in percentuale del totale: Egitto 1%, Brasile 0,7%, Norvegia 0,6%, Singapore 0,5%, Gran Bretagna 0,4%, Turchia 0,2%, Italia 0,2%, Corea del Sud 0,1%. Dal punto di vista di FFE, le esportazioni verso l’Egitto e la Turchia sono potenzialmente problematiche.

Nelle risposte alle domande di FFE, ThyssenKrupp ha confermato di rispettare fino all’ultima virgola le normative dello Stato tedesco, sia per quanto riguarda le armi nucleari, sia per quanto riguarda la produzione di sistemi d’arma autonomi.

Per FFE il rispetto delle norme non è però sufficiente. Anche perché, molto spesso, le due diligence governative valutano le attività commerciali solo dal punto di vista della politica estera di un Paese. Per Fondazione Finanza Etica la strategia di sostenibilità di ThyssenKrupp non si concilia affatto con una politica di esportazione di armi molto poco ambiziosa, che non fa nulla di più di quanto richiesto da uno Stato nazionale.

La divisione armamenti di ThyssenKrupp esporta navi militari in zone di crisi e guerra, vendendo sottomarini e fregate a Paesi come Turchia ed Egitto, coinvolti in conflitti contrari al diritto internazionale o governati da autocrati accusati di violazioni dei diritti umani. Un altro punto di engagement riguarda la produzione di sistemi d’arma adattabili per testate nucleari.
Fondazione Finanza Etica, insieme ai membri di Shareholders for Change, ha costantemente chiesto a ThyssenKrupp di condurre una due diligence sui diritti umani, conforme ai principi guida delle Nazioni Unite, prima di esportare armi in futuro. La richiesta include anche maggiori informazioni sul possibile coinvolgimento nella produzione di sistemi d’arma nucleari.